Gli psicofarmaci creano dipendenza
FALSO: se lo specialista individua l’indicazione alla prescrizione, i farmaci assunti sotto il suo monitoraggio e supervisione possono rivelarsi un valido aiuto per risolvere i disturbi del sonno, quelli dell’appetito e per ridurre l’angoscia limitante o addirittura paralizzante che i lacune fasi e situazioni ci può attanagliare. I farmaci sono da intendersi come strumenti che permettono poi a terapeuta a paziente di mobilitare le risorse dell’individuo e ad uscire dalla crisi.
Gli psichiatri curano i matti
Chiediamoci prima di tutto: cosa vuol dire ‘matto’? Forse una persona che è tutta e solo malattia? Se fosse così non esisterebbe in quanto in tutte le persone possono esserci parti malate e parti sane; inoltre le parti sofferenti di una persona non sono necessariamente malate, magari possono risultare strane o eccentriche agli occhi di chi non le comprende e preferisce quindi non accettarle. Gli specialisti che si occupano di disagio mentale possono avere la tendenza a cercare solo le aree di vulnerabilità della persona e ad attribuire ogni manifestazione a quelle aree mentre spesso a parlare sono parti sane che soffrono in modo reattivo in contesti malati o tossici. Può essere difficile stabilire il confine tra normalità e patologia: secondo i sistemi classificativi vi sono disturbi maggiori, disturbi minori e assenza di disturbi ma la realtà è molto più complessa, variegata e sfaccettata in quanto uno stesso disturbo può avere un valore diverso in momenti differenti della vita di una stessa persona; disturbi cosiddetti minori possono arrecare molto più disagio di disturbi cosiddetti maggiori; i primi possono avere decorso e prognosi peggiore dei secondi o viceversa. Nella pratica clinica si formulano diagnosi ma queste devono essere integrate alla persona e al suo contesto altrimenti non serviranno a granché: Ippocrate diceva ‘ è più importante sapere che tipo di persona abbia una malattia piuttosto che sapere che tipo di malattia abbia una persona in quanto è l’uomo a ospitare i sintomi e non sono i sintomi ad ospitare l’uomo.
La sofferenza è sempre patologica
Viviamo nella società cosiddetta del post-narcisismo ove la performance e l’immagine giocano un ruolo preponderante e dalla nascita viene richiesto di essere funzionanti e competitivi. In tale contesto la sofferenza può essere considerata come un’inutile zavorra che rallenta o addirittura blocca il percorso di vita o che impedisce il realizzarsi della felicità soggettiva. Uno stato di sofferenza più o meno marcato non è necessariamente patologico anzi quando ad un essere umano viene lasciata la possibilità di soffrire, di solito, non si determinano gli stati patologici che tendono a realizzarsi sotto forma di sintomi. Quando la persona non può vivere appieno il proprio dolore, non può sentirlo con l’anima oppure quando il dolore non può essere del tutto compreso e quindi neanche legittimato allora questo prenderà altre vie tra cui quella corporea e potrà manifestarsi attraverso i cosiddetti disturbi psicosomatici e/o malattie anche organiche. La sofferenza in alcune situazioni di vita può essere trasformativa, può essere generativa e persino creativa fino a determinare dei cambiamenti necessari anche se faticosi da realizzare.
Formazione
Competenza clinico specialistica e approccio psicoterapeutico a indirizzo psicodinamico.
Esperienza
Nei servizi di salute mentale con formazione sul campo, trattamenti individualizzati e lavoro in equpe multidisciplinare
Specializzazioni
Trattamento personalizzato dei disturbi dell'alimentazione e della nutrizione